Corre l'anno 1897 quando Filippo Carcano (Milano, 1840-ivi, 1914) vince per la seconda volta il premio Principe Umberto alla Triennale di Brera con il dipinto dal titolo Cristo che bacia l'umanità del quale Gaetano Previati, relatore, ebbe a scrivere essere «tale l'energia pittorica con cui la luminosità del cielo avvolge le varie parti del quadro che il concetto ideale o mistico voluto dall'artista è nella sua unità ottenuto».
Entrato all'Accademia di Brera nel 1855, Carcano si distingue come uno dei più brillanti allievi di Francesco Hayez e, successivamente, di Giuseppe Bertini. Poco più che ventenne, dimostra già la sua insofferenza alla tradizionale pittura accademica e di gusto romantico, in favore di una spiccata adesione al verismo, traendo spunto dallo studio attento della realtà e dall'indagine minuziosa del dato reale. Dopo la proclamazione dell'unità nazionale, artisti che propendono per questa scelta si ritrovano su tutto il territorio italiano. Echi veristi si registrano nella pittura piemontese della cosiddetta scuola di Rivara, in quella veneta di Giacomo Favretto, in quella toscana dei macchiaioli e in quella lombarda, come nel caso di Carcano, che inaugura la sua ricerca realista nel 1862 con Cortile a giardino con figure, effetto di sole. La sua predilezione per i soggetti tratti dal vero non venne, però, apprezzata dalla critica che lo accusò ingenerosamente, a partire da Una lezione di ballo (1865), di dipingere direttamente su immagini fotografiche. In risposta a questa insinuazione, Carcano dipinge poco dopo La partita al biliardo (1867), ritraendo un ambiente impossibile da fotografare senza abbattere un'intera parete.
Cristo che bacia l'umanità anticipa i soggetti mistici e simbolici che caratterizzano gli ultimi anni dell'artista lombardo, prove pittoriche per coniugare l'arte religiosa con la sensibilità dell'uomo moderno. In questo dipinto di grandi dimensioni la sua idea di verità religiosa, ossia di verità spirituale, si fa espressione del sentimento umano. Ed è per questa ragione che le sue opere di questo filone tematico, come quella in esame, sembrano perdere progressivamente ogni ancoraggio con la realtà precipitando in atmosfere oniriche, quasi impalpabili: perché scaturiscono da una riflessione interiore, fuori dal tempo e dallo spazio, dalle percezioni e dalle certezze della ragione.
Cesare Biasini Selvaggi
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