Circa il dipinto detto Corteo veneziano occorrerà, anzitutto, cercare di decifrarne il soggetto. Si parla di “corteo” perché la tela mostra molte figure una in fila l'altra come accade, appunto, in un corteo o anche in una processione, giacché non mancano insegne religiose, come stendardi col Cristo in Croce e, alla testa del gruppo, una grande croce dorata. La scena ha per palcoscenico la cosiddetta Porta della Carta a Palazzo Ducale a Venezia. La porta così detta ancor oggi poiché conduceva agli uffici ove venivano sbrigate le pratiche cartacee della Repubblica, ossia gli uffici amministrativi. Nel corteo si distingue una figura d'uomo anziano, con barba e capelli bianchi, coperta da una stola d'ermellino sopra una lunga veste di broccato filato d'oro, il cui strascico è sorretto da un paggio. In testa veste il cosiddetto Corno Ducale, ovvero il distintivo copricapo dei dogi veneziani, e andrà immaginato che questi sia il Doge. Rispetto, gli porgono le due figure astanti sulla sinistra, che s'inchinano al suo passaggio. Qualcosa, però, non deve dar motivo a tutti di gioia, se c'è chi, come il vecchio sulla estrema sinistra della tela, si dispera coprendosi il volto con la mano, allontanato da uno sgherro. La ragione della dolenza potrebbe risiedere proprio nel tema raffigurato. Il soggetto potrebbe essere, infatti, quello del Doge Francesco Foscari che, destituito, lascia Palazzo Ducale. Il tema fu oggetto di molte opere nel corso dell'Ottocento, epoca alla quale andrà riferito anche il dipinto in esame. Tra le opere più celebri con questo soggetto dell'antica storia veneziana vi è, ad esempio, quella di Francesco Hayez, conservata nella Pinacoteca di Brera a Milano. Il fiorire di dipinti a questo tema non è frutto del caso, ma segue la pubblicazione del dramma in cinque atti di Lord Byron The Two Foscari: An Historical Tragedy (1821). Il cui successo fu amplificato dall'opera in tre atti che, su libretto di Francesco Maria Piave, trasse Giuseppe Verdi, col titolo I due Foscari, con la sua prima assoluta al Teatro Argentina di Roma il 3 novembre 1844. Opera che nel corso dei mesi successivi fece letteralmente il giro del mondo, raggiungendo, dopo le innumerevoli tappe italiane, Parigi, Londra, Boston e Montevideo.
L'azione si svolge a Venezia nel 1457. E questa, raffigurata nella tela, potrebbe essere la scena in cui il Doge abbandona il Palazzo Ducale. Tuttavia, nel dipinto, sopra la Porta della Carta manca il Leone di San Marco col Doge inginocchiato ai suoi piedi, come lo si vede ora (fig. 1). La ragione di questa assenza potrebbe spiegarsi col fatto che la tela è stata dipinta tra il 1797 e il 1885. Il 1797, perché in quell'anno le truppe francesi al comando di Napoleone prendendo Venezia e decretando la fine della Repubblica, per spregio distrussero proprio il Leone di San Marco col Doge ai suoi piedi. Doge che, bisognerà ricordare, è proprio quel Francesco Foscari che, durante il suo mandato (1423-1457), fece edificare la porta sopra la quale i suoi architetti e scultori Giovanni e Bartolomeo Bon ritrassero il loro committente. E 1885 perché finalmente in quell'anno, passata (da tempo) la furia francese e unificata l'Italia, l'opera distrutta venne sostituita con una copia (quella che si vede ancora oggi) eseguita da di Luigi Ferrari. Fino ad allora, dopo l'arrivo dei francesi e prima della sua sostituzione, chi avesse guardato la Porta della Carta avrebbe visto una lastra liscia di marmo, come si vede in un una foto ottocentesca (fig 2). L'autore della tela in esame, dunque, potrebbe verosimilmente essere non un veneziano, che avrebbe di sicuro posto l'altorilievo sopra l'architrave anche se, in quel momento, assente, bensì un forestiero che si limitava a immaginare la scena ambientandola in quella Venezia che lui ritraeva. Con ogni probabilità uno straniero, un inglese, in forza dello strepitoso successo sia letterario che teatrale che l'opera di Lord Byron riscosse in Inghilterra. Qualcuno, magari, prossimo a quell'Edward Pritchett (Northamptonshire, 1807-Camberwell, Londra, 1876) che passò ben tre decenni lavorando e dipingendo a Venezia, e producendo sostanzialmente vedute nel gusto di Canaletto destinate ai turisti del Grand Tour, aggiornate nei tempi, nei modi e, soprattutto, nei costumi, che erano quelli già ottocenteschi. Si veda, ad esempio, il confronto tra un'opera “contemporanea” di Pritchett (fig. 3) e la tela in “costume quattrocentesco” in questione.
Cesare Biasini Selvaggi
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